Appare piuttosto incomprensibile il motivo per cui alcuni comuni nella nostra regione, stiano ricorrendo a incrementi nelle rette dei nidi, confidando nella funzione di compensazione del bonus asilo nido, dedicato dall’INPS alle famiglie delle bambine e dei bambini iscritti.
Presupponiamo che gli aumenti in sé di cui si parla, si rendano necessari per coprire le spese di gestione di un servizio educativo, (purtroppo) ancora “a domanda individuale”, nonostante la legge 107 del 2015 abbia riconosciuto il carattere educativo del servizio in continuità con la scuola dell’infanzia, istituendo il sistema integrato di educazione e istruzione nazionale 0-6, e passandone le competenze al MIUR.
Dalla citata normativa, considerato nel nostro territorio nazionale il mancato raggiungimento dell’obiettivo del 33% medio di copertura della popolazione da 0 a 3 anni (con le nuove raccomandazioni europee passato al 45%), sono scaturite, infatti, per i comuni, più forme di finanziamento (europee, statali e regionali). Sia per la realizzazione di nuovi posti nido, che per il restauro e la messa in sicurezza delle sedi preesistenti, ma anche per la formazione permanente in servizio del personale, la formazione congiunta (nido-infanzia) e per la creazione dei coordinamenti pedagogici. Dispositivi strategici essenziali per la qualità del sistema.
Per inciso, alle regioni del Sud, tra cui la Puglia (con un 20% circa di copertura), che hanno da colmare un gap rispetto alla media nazionale (vicina al 30%), quanto a dotazione di servizi per lo 0-3, è stato assegnato, nello scorso anno, un fondo perequativo.
Un capitolo a parte andrebbe poi riservato alla riflessione sugli ingenti finanziamenti del PNRR, successivamente intervenuti per la creazione di nuovi posti nido, con tempistica ed agevolazioni particolari dedicati al sud per i motivi già detti. Non avendo dati, da un lato sulla mappatura dell’esistente, dall’altro sui progetti presentati dai comuni pugliesi per tentare di colmare almeno il divario rispetto all’attuale media nazionale, non possiamo fare altro che auspicare che quelle somme dedicate restino tali nella loro entità, e pienamente utilizzate.
Per tornare, invece, all’argomento più specifico di questa nota, ricordiamo che la ripartizione annuale del fondo per lo 0-6 (di cui al d. lgs. 65/17) da parte delle regioni, riserva un paragrafo specifico al sostegno delle amministrazioni locali per la riduzione delle tariffe alle famiglie delle bambine e dei bambini iscritti ai servizi 0-3, direttamente e indirettamente gestiti, autorizzati al funzionamento e/o accreditati.
Questi sono i motivi per cui, come si diceva in introduzione, sorprendono (o appaiono in controtendenza con la normativa vigente) gli aumenti delle tariffe a cui stiamo assistendo.
Non può passare inosservato, a tal proposito, il caso dei nidi comunali di Taranto. Come è noto, col nuovo bando delle iscrizioni, è stato presentato dall’amministrazione comunale, un piano tariffario da capogiro, con incrementi particolarmente concentrati sulle famiglie con i valori ISEE più bassi. Non incrementi di pochi punti percentuali, ma dal 341% al 15%. Per intenderci meglio, la retta di base (riservata ai valori ISEE sino ai 7.500 euro annui) passerebbe dagli attuali 53 euro ai 230 euro. Ammesso che il fondo dell’INPS possa bastare per tutti i richiedenti, difficilmente ci saranno famiglie in grado di anticipare le somme. Poco importa che ci sia la possibilità di versare una mensilità per volta. Il problema resta. Inoltre non è questa certamente una misura che l’amministrazione comunale ha voluto introdurre per venire incontro alle difficoltà degli utenti, perché già prevista dal vecchio regolamento del 2014.
Riteniamo, al contrario, che le difficoltà delle famiglie, e il rischio conseguente di mettere ulteriormente in discussione il diritto delle bambine e dei bambini a ricevere pari opportunità di crescita, sin dai primi mille giorni di vita, contro ogni forma di povertà educativa (in forte incremento nella nostra regione), e per una maggiore inclusione sociale, siano stati davvero poco considerati nel definire il nuovo piano tariffario.
Tanti sono i motivi di inquietudine per chi crede davvero nell’importanza dei servizi educativi per l’infanzia in una comunità. Sarebbe interessante sapere cosa ha impedito al comune in questione, di ricorrere ai finanziamenti che ci sono. Questo avrebbe senz’altro, per lo meno, ridimensionato l’esigenza di ricorrere ad incrementi tariffari così insostenibili per le famiglie della città.
Vogliamo sperare che la partita sia ancora aperta, e non sia stata detta ancora l’ultima parola. Siamo sicuri che chi è deputato ad elaborare gli indirizzi delle politiche educative nella città, saprà cercare (anche col sostegno del governo regionale, e magari mediante accordi con l’INPS che altri comuni hanno attivato) un’altra strada, condivisa con le forze sociali in campo, per la soluzione del problema.
Per il territoriale Puglia
Gruppo Nazionale Nidi Infanzia
firmato dalla referente
Linda Boccuzzi