di Giorgio Di Antonio
Dove è finito il tesoro dei Templari? All’indomani del colpo di mano del Re di Francia Filippo il bello, venerdì 13 ottobre 1307, cosa successe davvero? Se è scontato che i Templari per codice e regola non reagirono alle azioni per catturarli ordite dal Re (non alzerai mai la tua spada contro un fratello Cristiano!) questo non significa che il potentissimo Ordine fosse stato davvero colto di sorpresa e non reagisse in alcun modo.
Cavalieri e Dignitari furono arrestati, proprietà e ricchezze furono confiscate, ma è proprio così che andò?
Rimangono moltissimi dubbi.
Pur essendo una azione ben congegnata l’arresto di tutti i Cavalieri dell’ordine in contemporanea sul tutto il territorio francese dovette per forza di cose avere bisogno di tempo, e forse fu possibile una azione lampo solo nella città di Parigi, da dove tuttavia il custode del Tempio, il n.2 dell’Ordine, era scomparso senza lasciare traccia. E’ dunque credibile che grande parte della schiera di Cavalieri ebbe tempo per poter mettere in atto azioni di fuga e salvamento, dei beni e delle ricchezze depositate nelle tante Commende, Castelli, Magioni del Tempio, con il caso eclatante della flotta che scomparve sia dal porto de La Rochelle che dai principali porti del Mare del Nord senza lasciare tracce.
E allora come andarono effettivamente le cose?
Probabilmente non lo sapremo mai, e quando le cose rimangono oscure ecco nascere le leggende …
Ci piace immaginare che una organizzazione così efficiente avesse già previsto un attacco del suo principale debitore, avesse i relativi piani, la sua “intelligence” avesse colto i segni premonitori, i Cavalieri abbiano avuto tempo per mettere in atto quanto pianificato.
Proviamo ad immaginare, il Tesoro fu diviso in molte parti, navi, carri, lunghe file di muli si sono dirette ad un segnale verso i molti punti decentrati e sufficientemente discreti e nascosti individuati per tempo, dove portare le inestimabili ricchezze. Da considerare che queste ricchezze non dovevano per forza essere oro, argento, pietre preziose, ma anche reliquie, scritti, lettere di credito. Dove andò davvero a finire il tesoro dei Templari? Molte sono le supposizioni, Montsegur? Rennes le Chateau? Oak Island in Nova Scotia? La cappella di Rosslyn in Scozia? Il Castello di Tomar in Portogallo? Ferentillo?
Si avete capito bene, Ferentillo in val Nerina, vicino Terni e Spoleto.
Essendo Ferentillo non lontano da Roma sono partito alla scoperta del luogo e del tesoro!
Vi racconto come è andata.
Un viaggio di un paio di giorni, facile da organizzare ma da pianificare in modo attento e valutando le fonti disponibili.
Ci sarebbe molto da raccontare, ma mi atterrò all’essenziale.
Per il pernottamento ho scelto una sede insolita, un piccolo
Monastero adattato a struttura ricettiva.
Si tratta di un Monastero delle Clarisse, eretto nel XIV secolo a partire da un preesistente luogo di culto dove fu ospitato nel suo peregrinare proprio il San Bernardino.
Il Monastero di San Bernardino è collocato quasi sul finire della Val Nerina, non lontano dalle cascate delle Marmore. Oggi funziona come luogo e centro di accoglienza, meditazione, ritiri spirituali, fornisce anche una ottima prima colazione. Stanze spartane ma confortevoli, accoglienza accurata e fraterna, visita della incredibile chiesetta affrescata compresa.
Risiedere in un Monastero di clausura che fu delle Clarisse aiuta nell’immergersi in una atmosfera spirituale adeguata al viaggio intrapreso.
La struttura poi è al centro dell’area geografica che dobbiamo esplorare e tutti i luoghi significativi distano pochi kilometri o addirittura poche centinaia di metri dal Monastero. E questa struttura sarà l’artefice di una stupefacente avventura umana.
Come dicevo nel pianificare il viaggio mi sono prima documentato, come al solito scorrazzando sul WEB e poi acquisendo alcuni libri interessanti. Alcuni di questi sono stati scritti dall’Ing. Giovanni Tomassini già dirigente della Telecom ed ora in pensione storico a tempo pieno. Studioso della storia del Territorio, della Massoneria, e della storia dei Templari nel territorio.
Arrivati alla struttura ho chiesto alla gentilissima gestrice, Vanessa, se avesse conoscenza di qualche guida o storico dell’arte che potesse accompagnarmi alla scoperta dei tesori del luogo. Fu così che Vanessa mi diede il numero del cellulare proprio di … Giovanni Tomassini! Presi accordi rapidamente ed eseguite le visite dei luoghi prescelti con la migliore guida che potessi desiderare!
Prima di procedere nel racconto facciamo un passo indietro nel tempo.
La Val Nerina è stato un incredibile crocevia di popoli e di storie davvero stupefacenti.
Si parte dalla protostoria con popolazioni di assoluta originalità, i Naharki. Non sono chiare le origini, ma da dove venivano questi Naharki? Le necropoli venute alla luce dicono che probabilmente fossero di origine e cultura Celtica, qualcuno invece sostiene venissero dall’Egitto o dall’area Siriaca, la radice del loro nome è collegata alla parola fiume, “Nar”, da cui deriva oggi Nera, il fiume lungo il quale vivevano.
Forse erano parte dei Sabini, certamente in urto con gli Umbri così come riportato nelle bronzee tavole Eugubine (II sec. a.c.) conservate a Gubbio. Rimasero sempre fieramente attaccati al loro territorio, si accordarono spesso, si fusero, ma difficilmente si può dire che siano stati sottomessi. Neanche gli Etruschi riuscirono ad inglobarli. Poi arrivarono i Romani …
Per 6 secoli ci furono solo i Romani e le comunicazioni assicurate dalle vie consolari, la Flaminia e la Salaria, collegate tra di loro da un diverticolo che da poco dopo Terni dalla Flaminia deviava a destra verso la Salaria, passando ai piedi del monte Terminillo e ricongiungendosi ad essa nei pressi del paese di Posta.
Quella zona così aspra e appartata rimase in questo modo al centro di movimenti militari e traffici commerciali per molti altri secoli.
Nella cartina in blu si vede il tracciato della antica via Flaminia e in rosso quello della Salaria, il diverticolo a cui si è accennato assumerà una valenza fondamentale nella storia della Valnerina.
Cessato l’Impero Romano arrivarono in questa valle altri profughi, Cristiani Siriaci che fuggivano da persecuzioni, poi i Longobardi che a partire dalla seconda metà del VI secolo e fino a quasi tutto l’VIII secolo dominarono l’Italia, costituendo molti punti di aggregazione di potere. Uno di questi fu il Ducato di Spoleto destinato ad avere una grande importanza nella storia Italiana del medio Evo. I Franchi scesero poi in Italia sconfiggendo i Longobardi che nel frattempo si erano Romanizzati e fusi con le popolazioni locali.
Mi scuserete se riassumo in poche righe diversi secoli di storia importantissima, ma l’obiettivo di questo articolo è non storico ma attirarvi a visitare questa zona e scoprirne le ricchezze!
I Longobardi, tuttavia, a parte il loro DNA, lasciarono ai posteri un dato di ben maggiore importanza, la donazione di Sutri (Re Liutprando dona al Papa Gregorio II). Questo permise un rafforzamento del potere temporale dei Papi e il rafforzamento del “Corridoio Bizantino” attraverso il quale Roma poteva ancora sperare nell’appoggio dell’Impero Romano di Oriente (Bisanzio) per contrastare i sempre più pressanti desideri di “protezione” dei Franchi e del Sacro Romano Impero verso Roma. Conflitti ed accordi tra Longobardi, Bizantini, Papato e Franchi non mancarono davvero ma alla fine arrivarono altri a mettere tutti d’accordo, i Normanni e con loro si stabilì con chiarezza un bipartitismo ante litteram, Guelfi e Ghibellini…
La Valnerina si trovò spesso al centro di queste dispute e del passaggio di truppe di varia origine destinate verso diversi obiettivi. E nel contempo via di rifugio per comunità altrove perseguitate come ad esempio i Càtari (XI – XII sec.).
Ma vedo che sto dilungandomi troppo, in breve nei secoli il peso di Governo della Chiesa in questo territorio crebbe fino a diventarne l’indiscusso padrone, tuttavia le popolazioni Umbre continuavano con fierezza a mantenere una certa autonomia.
Queste fin troppo sintetiche note storiche come detto mi servono per introdurre i luoghi e i perché del viaggio.
Toccheremo Ferentillo, il Castello di San Mamiliano, il Convento di San Giovanni, l’Abbazia di San Pietro in Valle, Arrone, e naturalmente cercheremo di dare conto della presenza dei Templari e del loro Tesoro.
Cominciamo dalla Abbazia di San Pietro in Valle.
Il luogo dove sorge l’Abbazia era precedentemente un tempio romano, di cui rimangono alcuni resti e alcune colonne, la leggenda narra che Cristiani Siriaci che fuggivano dalle persecuzioni dell’Imperatore Bizantino Anastasio I trovassero rifugio dopo lungo peregrinare proprio in questa valle e due di loro Giovanni e Lazzaro, eremiti in questo luogo trovarono un riparo, predicassero e operarono prodigi, fu qui quindi che venne eretta una basilica più tardi in loro onore e successivamente un Convento per i Monaci Benedettini. La costruzione della Abbazia si fa risalire al Duca di Spoleto e Re Longobardo Faroaldo II, che dopo essere stato detronizzato vi si rifugiò divenendone abate e venendo successivamente santificato. Molti altri Duchi di Spoleto furono poi sepolti in questa Abbazia tanto da divenire il Mausoleo dei Duchi Longobardi. In questa chiesa Abbaziale sono conservati in sarcofagi romani riadattati sia i resti di Faroaldo II che di altri Duchi.
La chiesa per la sua importanza venne costantemente abbellita, anche se dovette subire diverse devastazioni, sia ad opera dei Saraceni (IX sec.) che nelle diverse scorribande di Imperatori germanici.
Importantissimo il ciclo di affreschi del XII secolo di cui è possibile vedere ancora una larga parte ben conservata con storie bibliche ed evangeliche, e le storie dei Santi fondatori e Faroaldo.
Affresco, Faroaldo già monaco riceve la visione con San Pietro che gli indica di costruire l’Abbazia
La leggenda narra che Giotto prima di intraprendere il lavoro di affresco della Basilica di Assisi sostò qui rimanendo ammirato ed ispirandosi ad alcune scene (Gerusalemme fortificata) poi riprodotte in Assisi. Le pertinenze abbaziali arrivavano ad interagire con l’altra grande abbazia Longobarda, quella di Farfa, sita in Fara in Sabina.
Il Monastero che ospitò i Benedettini è oggi un Hotel de charme che organizza matrimoni, il restauro eseguito ha mantenuto oltre le stanze oggi adibite ad accoglienza un chiostro, la sala capitolare, l’abitazione dell’abate. Nel chiostro è visibile una piccola statua che può essere ricondotta al bafometto. Ma non è l’unica originalità di questo luogo, sul campanile del XI secolo, eretto in stile basilicale romano laziale si notano reimpieghi di materiali romani, longobardi e carolingi. In particolare una lastra di marmo riporta un pentacolo ed altre iscrizioni.
Il campanile della Chiesa Abbaziale e la lastra marmorea con pentacolo
Le cronache raccontano che l’Abbazia fornì protezione e rifugio anche ai profughi Càtari che a protezione del luogo eressero proprio sulla costa della valle di fronte un castello, quello di Umbriano oggi diruto e raggiungibile solo lungo un impervio sentiero.
Nel XIII secolo a difesa dell’Abbazia furono i Templari che tuttavia non risiedevano se non in piccolissimo numero in quel luogo di preghiera, ma nelle vicinanze, nel castello di San Mamiliano e nella Commenda di San Giovanni (oggi diruta).
Castello di S. Mamiliano, ingresso
Ed è proprio verso il Castello di San Mamiliano che ci dirigiamo, posizionato in modo da controllare sia lo sbocco della Val Nerina sopra Ferentillo che l’antico tracciato della Flaminia sopra Terni, in una posizione davvero strategica!
Il Castello è ben conservato, perfettamente ristrutturato dopo il terremoto e ancora abitato da alcune famiglie, cosa che ha la sua importanza in questa storia. Il castello è costruito secondo i dettami Templari, con 3 cerchia di mura concentriche e un torrione di osservazione al suo culmine e tutto intorno con un fossato o dirupi naturali.
Al centro la chiesa di San Biagio, santo caro ai Templari, pur essendo il Castello intitolato a San Mamiliano. La chiesa che ci è stata aperta in via eccezionale grazie all’Ing. Tomassini, è il luogo del Tesoro dei Templari, o meglio lo era. Sull’altare una pala lignea perfettamente restaurata del pittore Jacopo Siculo che raffigura San Mamiliano e San Biagio (XVI secolo). In una nicchia una statua lignea del Battista proveniente dalla Commenda di San Giovanni, in postura “esoterica”.
Dicevamo del Tesoro. Arrivarono qui da Parigi alcuni muli carichi di casse scortati da alcuni Templari, subito dopo la sospensione dell’Ordine. Cosa portavano? Preziosi, si, lettere, pure, ma soprattutto i due reperti più preziosi in mano all’Ordine,
Lo stemma della famiglia Cybo nel castello
Un asse della Croce di Cristo e la punta della lancia di Longino. E sono rimasti qui per un lungo tempo. L’area era assegnata ad un feudatario molto importante, la famiglia Cybo (di origine greca ma poi installatasi a Genova, mercanti e naviganti).
I Cybo diedero alla Chiesa un Papa, Innocenzo VIII (1432 – 1492, fu Papa dal 1484 al 1492). Fu lui, bene a conoscenza del valore di quanto custodito a San Mamiliano, a trafugarlo approfittando della sua autorità e presentando a Roma come ritrovamento casuale la Croce, poi esposta nella Chiesa del “ritrovamento” Santa Croce in Gerusalemme, invece la lancia di Longino fu spacciata come un dono di un sultano di Bisanzio come segno di riconoscenza dello stesso per tenere in ostaggio il di lui fratello a Roma. Questo preziosissimo reperto non fu poi mai mostrato e a quanto se ne sa è ancora in Vaticano.
Ma gli assalti della famiglia Cybo non furono i soli a sottrarre a San Mamiliano ricchezze e una parte dei tesori custoditi nel castello vennero depredati. Fu così che gli abitanti rimanenti nel castello decisero di prendere in custodia questi beni e di tramandarli di generazione in generazione messi al sicuro nelle loro abitazioni e al riparo dai predatori di ogni genere (anche ecclesiastici). Oggi, dunque una parte del Tesoro dei Templari è nel castello, ben custodito. Gli abitanti rimasti custodiscono anche la chiesa di San Biagio e, se siete fortunati, visitarla rappresenta una emozione particolare.
Un grande tesoro rimane visibile a tutti, la pala d’altare di Jacopo Siculo (Giacomo Santoro 1490 – 1544) restituita alla chiesa dopo un lungo e riuscito restauro.
Madonna con Bambino in trono tra S. Pietro e S. Giovanni Battista, in ginocchio San Mamiliano e S. Biagio.
Ma le leggende su S. Mamiliano non finiscono qui. Ce n’è una assai particolare, una roccia poco sopra il castello fu il luogo dove apparve e viene tuttora venerato San Michele Arcangelo. La particolarità è che questo luogo si trova sulla linea di San Michele in posizione baricentrica! Ecco dunque un altro tesoro di devozione Cristiana.
La linea di San Michele è una linea ideale che congiunge 7 luoghi sacri e dedicati a S. Michele. Questi sono:
- Skellig Michael in Irlanda
- Saint Michel’s Mount in Cornovaglia
- Mount Saint Michel in Normandia
- Sacra di San Michele in Val di Susa
- Santuario di Monte Sant’Angelo nel Gargano
- Monastero di Symi isola del Dodecaneso
- Monastero del Monte Carmelo Israele
Come si vede un’altra incredibile “coincidenza”! E se il tesoro dei Templari fosse stato affidato proprio alla protezione e custodia del loro Patrono San Michele Arcangelo e alla sua spada fiammeggiante?
Mentre queste domande fanno eco nella mia mente, la quale si affanna a trovare e a metterle in collegamento con i moderni neo Templari del PTHM, si è fatta l’ora di lasciare il castello e di dirigersi verso valle raggiungendo il paese di Ferentillo.
E’ questo un paese particolare, la cui storia antica è avvolta ancora da misteri, Naharki, Sabini, Etruschi, Romani vi stabilirono forse insediamenti, l’area si trovava proprio ai limiti di una zona paludosa malsana poi bonificata proprio dagli abitanti di Ferentillo. Che gli insediamenti siano stati legati alla Abbazia di San Pietro in Valle è indubbio, ma chi costituì il nucleo della moderna città di Ferentillo? Secondo la storiografia più accreditata sono stati gli abitanti di Ferentum guidati dal Re Longobardo Liutprando verso l’VIII secolo costretti a lasciare il loro paese a stabilirvisi e dandogli il nome Ferentillo (Ferentum Illi, in latino quelli di Ferento) o forse verso XI secolo dei Càtari che sfuggivano a persecuzioni. Il paese fu costruito lungo le due sponde del Nera, ognuna delle due parti era difeso da una rocca potentemente fortificata, Matterella e Precetto, tanto che lo stemma della città recava il simbolo delle due torri separate da un fiume. Le modalità costruttive delle due fortificazioni fa propendere per una costruzione eseguita in epoche diverse e nella architettura più recente recanti traccia delle modalità costruttive sia dei Càtari che dei Templari. Queste fortificazioni si resero necessarie dopo le scorribande dei Saraceni nel IX secolo durate alcuni decenni. Sicuramente nel XIII secolo questi castelli furono acquartieramenti dei Templari ed insieme alle Rocche di Umbriano, San Mamiliano e San Giovanni rappresentavano uno straordinario sistema difensivo non solo della importantissima Abbazia di S. Pietro in Valle ma anche del controllo dei traffici tra nord e sud dell’Italia, lungo i tratturi più importanti della transumanza ed inoltre base della “via della lana”. E’ questa economia che attirò sul luogo i feudatari della famiglia Cybo, che nei secoli rafforzarono questa loro forte “vocazione” imparentandosi con i Medici di Firenze. Le tasse che venivano messe alle merci in transito erano per soma (tutto il trasportato da un somaro) se provenienti o dirette in Toscana, per pezza (per telo filato) se provenienti o dirette verso altre parti (ogni somaro portava tra 10 e 20 pezze) creando le basi per una concorrenza squilibrata, o completamente sleale a favore degli interessi dei Cybo e dei Medici, ma così andavano le cose a quei tempi …
Quando il Papa Cybo (Innocenzo VIII) diede al suo figlio Franceschetto l’area, questa divenne un Principato, autonomo, con tanto di Università! I Cybo (poi Cybo – Malaspina) dominarono la zona fino alla estinzione della famiglia avvenuta nel 1730 circa.
Ora, prima di lasciare Ferentillo, si deve visitare la Collegiata di Santa Maria. Questa chiesa è un vero e proprio scrigno di incredibili segni, una biblioteca di pietra che conserva segreti e misteri unici.
Sarebbe davvero molto prolisso descrivere in dettaglio questa biblioteca di messaggi in pietra ed immagini, cosa che farò in altro racconto, mi limito qui a descrivere solo qualche elemento. La chiesa è del secolo XIV, ma è stata edificata su una preesistente chiesa del XI secolo che a sua volta era stata edificata sui resti di un tempio dedicato alla Dea Madre, il culto pagano della Dea Cupra, divinità che sovraintende alle acque e alla terra, alla fertilità, le acque interne che sgorgano dal sottosuolo e danno vita dall’interno senza aver bisogno dell’acqua piovana, intervento esterno, una simbologia che si associa alla Vergine Maria e alla concezione senza peccato. All’esterno la chiesa romanica ha una facciata austera con 3 ingressi e un campanile (XV sec.) a pianta quadrata, sovrastato da una bifora sopra l’orologio e una guglia esagonale. Tutti i numeri diretti e indiretti leggibili in questo luogo sacro hanno una valenza esoterica. L’interno era originariamente a pianta quadrata, furono poi aggiunte le due navate laterali. Le navate sono delimitate da 6 colonne, di cui due ottagonali, su ogni navata laterale si aprono 6 nicchie per parte, ognuna di esse è custode di messaggi e storia. La navata di destra entrando dalla porta è quella forse più ricca di simbologia e anche artisticamente di maggior rilievo, in larga parte affrescata da Jacopo Siculo, giova ricordarlo allievo di Raffaello. In queste 6 nicchie sono custoditi molti simboli, la penultima nicchia, prima dell’abside, ad esempio è quella voluta dalla Corporazione dei Maestri Lombardi, lapidei e muratori, qui guardando con attenzione si riscontrano simbolismi quali compasso, cazzuola, squadra, filo a piombo, martello.
Se si riportano in sintesi le iniziali dei Santi a cui sono dedicate le cappelle si ottiene S. GRAAL, inoltre in basso nei pilastri che delimitano le nicchie si rintraccia la simbologia del S. Graal tra due foglie di palme, cosa volevano indicarci dunque i costruttori della chiesa con questi ripetuti rimandi al Sacro Graal?
Altra simbologia insita nella struttura della chiesa la originaria pianta quadrata come il Tempio di Salomone a Gerusalemme o come riportato nell’Apocalisse di Giovanni la pianta della Gerusalemme Celeste.
Per il momento fermiamoci qui, ci sarebbe moltissimo da aggiungere ma spero sia stata stimolata la voglia di vedere di persona!
Arrone e Perceval Doria
Lasciando Ferentillo e prima di inoltrarsi verso le cascate delle Marmore incontriamo il paese di Arrone, ultimo baluardo a difesa della ValNerina.
Ancora oggi il borgo, uno dei più belli d’Italia, è dispiegato intorno, e rispecchia, la struttura difensiva medievale. L’abitato è circondato da un sistema di torri e cinte murarie poste a difesa della strada che collegava la zona di Rieti con quella di Spoleto, il diverticolo tra Flaminia e Salaria già ricordato. Fondato presumibilmente dalla famiglia degli Arroni raccogliendo antichi insediamenti romani intorno al X secolo. Arrone era posto a guardia di uno dei pochissimi guadi del fiume Nera e dunque strategico per i collegamenti detti. Arrone è composto da due antichi nuclei abitativi e da un terzo molto più recente. I nuclei più antichi sono denominati “La Terra” e “Santa Maria”.
“La Terra” rappresenta di fatto l’insediamento primordiale, la rocca difensiva con il castello degli Arroni. Fra le sue mura custodisce la gotica chiesa di San Giovanni Battista, Patrono del paese, nella cui abside poligonale si trovano preziosi
affreschi quattrocenteschi con la suggestiva Crocifissione.
Nei pressi della chiesa si trova la “Porta di San Giovanni”, che collega il borgo al quartiere medievale, caratterizzata da un arco a sesto acuto.
La chiesa di Santa Maria Assunta, poco più in basso, è una chiesa costruita al principio del XV secolo fuori del castello di Arrone. La chiesa è a tre navate, separate da grandi arcate su pilastri ottagonali e terminanti in facciata su tre portali. Il portale centrale è datato 1493 e la sua lunetta è decorata con un affresco della Vergine e Angeli. La facciata serve anche da campanile a vela.
L’abside centrale e l’arco sono stati affrescati nel 1515/1516 da Vincenzo Tamagni e dal coevo Giovanni da Spoleto.
Il tema iconografico è quello delle Storie della Vergine.
Le absidi laterali, invece, contengono affreschi risalenti al seicento.
L’abside sinistra, inoltre, contiene notevoli sculture in terracotta del XVI secolo
Altre significative opere d’arte sono:
- L’affresco della “Madonna del Rosario”, posto nella navata destra e attribuito a Giuseppe Bastioni (1609);
- La “Madonna col bambino e i Ss. Pietro e Giovanni Evangelista” del XVII secolo, attribuita a Francesco Cozza;
Due chiese di impressionante bellezza da visitare senza alcun dubbio. Arrone era uno dei centri significativi del Principato dei Cybo.
Riportiamo ora un racconto, se volete una leggenda, una storia, che non trova precisi riscontri storici, ma anche in questo caso il suggestivo suggerimento del nostro scrittore, l’Ing. Tomassini, storia ambientata ad Arrone nella seconda metà del 1200.
In questa città trovò la morte il poeta, trovatore e condottiero Percivalle Doria nel 1264, affogato cadendo da cavallo nel fiume Nera mentre era coperto dalla sua armatura di pesante ferro.
Questa figura è assai complessa e rimando ad un altro momento la sua rievocazione storica, una figura decisamente importante nella formazione della cultura “volgare” italiana, dal dolce stil novo all’occitano.
Dunque, nella sua veste di condottiero al servizio del Re Manfredi e a difesa degli interessi Ghibellini, si ritrovò a marciare verso Spoleto ed Orvieto, proveniente dalla Puglia, soprattutto per assaltare Orvieto e rendere difficile la discesa in Italia di Carlo I d’Angiò, cosa che nei piani serviva per spalleggiare gli interessi dei Guelfi, della Chiesa e del Papa Urbano IV. Era al comando di una colonna di circa 5000 soldati Saraceni e una sparuta formazione di soldataglia germanica.
Nella zona come abbiamo visto c’erano diversi insediamenti Templari, che uniti a quelli residenti a Spoleto formavano una discreta compagine militare di circa 200 Cavalieri. Ora non stupisca la grande differenza dei numeri, i Templari erano abituati a combattere in pochi contro molti, un rapporto da 1 a 20 con militari appiedati era per loro quasi una passeggiata, voglio solo ricordare la carica di alleggerimento che i Templari guidati da Guglielmo di Beaujeu fecero per rompere l’assedio della città d’Acri in Terra Santa in circa 300 contro ben 200.000 assedianti!
Poi la fila dei 5000 si era sgranata per poter guadare il fiume Nera, e dunque i Templari si trovarono ad affrontare nello scontro diretto un numero esiguo di avversari.
La efficiente rete informativa dei Miles aveva ricevuto la notizia dell’arrivo della compagine guidata dal Doria, e soprattutto il fatto che fosse formata quasi completamente da soldati Saraceni, ora per regola un Templare “mai avrebbe alzato la spada contro un fratello” ma menare le mani con i mussulmani era altra cosa!
Si preparò dunque l’agguato e appena iniziato lo scontro fu subito chiaro che non ci sarebbe stato alcuno scampo per i soldati di Perceval Doria.
Sgominate le avanguardie i Templari inseguirono per catturarlo, senza ferirlo, il condottiero che in pieno assetto da combattimento nella concitata fase di riattraversamento del fiume cadde rimanendovi affogato.
Finì in modo tragico la storia di un grande uomo di cultura e d’armi, non direttamente ma per effetto della carica dei Templari, nel territorio del paese di Arrone.
Con questo racconto termina il viaggio attraverso la Valnerina alla ricerca del Tesoro dei Templari. L’ho trovato questo Tesoro? Voi che dite, io penso proprio di si!
Bibliografia:
“La valle degli Umbri-Naharki”
Andrea Agnetti
“Ferentillo segreta” Carlo Favetti
“Gli ultimi custodi del tesoro Templare” Giovanni Tomassini
“Il segreto di Hiram” Giovanni Tomassini
“La Badia di San Pietro in Valle – la Valnerina dei càtari” Giovanni Tomassini.
Ricerche su Internet con chiavi di ricerca Templari, San Pietro in Valle, Ferentillo, Collegiata di Santa Maria, Arrone, San Mamiliano,Longobardi, Naharki , Liutprando, Faroaldo II, Valnerina, ecc.
Giorgio Di Antonio, classe 52, Romano, già Dirigente Aziendale ora Consulente per Piani strategici e finanziamenti per aziende in riposizionamento. Appassionato di politica, storia, aviazione.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.