Così è stata introdotta la pubblicità alla riforma del premierato: “vi porteremo alla Terza Repubblica con la riforma costituzionale”
Da sempre il bel paese in letargo, caratterizzato da sonni inquieti e turbolenti, aveva bisogno di uno scossone. Una scossa alla democrazia, alla durata dei governi, al sistema. Un colpo al vecchio sistema che ha caratterizzato la Prima Repubblica e che potrebbe adesso introdurre la terza. Ci ha pensato la premier Giorgia Meloni, che ha promesso in campagna elettorale di introdurre l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, diventata poi con il Ddl Casellati (la riforma costituzionale per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio) il cosiddetto “premierato”.
Perché scuotere le fondamenta del sistema? Partiamo con ordine. Parlamento e Presidente della Repubblica agiscono in sincronia, conducendo in simbiosi un gioco di ingegneria costituzionale. Si eleggono a vicenda, poiché il Presidente del Consiglio è scelto dal Capo dello Stato, ed esso è introdotto al mandato proprio sotto votazione delle Camere. Consideriamo che a norma dell’art.84 della Costituzione “Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.”
Ma dalla teoria alla pratica il passo è breve, anzi brevissimo. Sono ancora attuali le scene che vedevano a gennaio 2022 uno spettacolo comico consumatosi in Parlamento. Durante la votazione per l’elezione del Capo dello Stato, figuravano nomi come “Amadeus”, “Gerry Scotti”, “Fiorello”, ecc…
Ci si chiede allora quanto i nostri governanti abbiano solidificato l’idea di democrazia indiretta, con una risposta alquanto scontata. Si parla infatti di democrazia indiretta sempre e comunque con una tesi: è un meccanismo complicato e quindi ci vuole un controllo, una figura super partes.
Controllo che presenta più di un intoppo: è facilissimo sfruttare la disposizione costituzionale come mezzo legittimo per introdurre governi – che se pur costituzionali e sotto attenta discrezionalità del Capo dello Stato – potrebbero essere lontani dalla volontà popolare. È stato il caso di due governi tecnici e nati sotto emergenze (una economica, l’altra pandemica), Monti (2011-2013) e Draghi (2021-2022).
Ed ecco, la riforma del Premierato fungerebbe da cesoia, troncando immediatamente questo meccanismo e restituendo la parola al cittadino. Questo agirebbe da farmaco ad una patologia cronica del sistema politico italiano: l’instabilità degli esecutivi. Dopo la dittatura di Mussolini l’esecutivo più lungo della storia è stato il Berlusconi II, con una durata di 3 anni, 10 mesi e 12 giorni (2001-2005). In 20 anni si sono susseguiti 12 governi, con dei record eccezionali. Il caso di Giuseppe Conte, caduto ben 2 volte in due anni, ha costituito piena prova.
Ben sei i punti che la riforma vuole introdurre: elezione diretta del premier, con la modifica degli articoli 88, 92, 94; mandato quinquennale (come oggi) con limite al secondo mandato, una diversa gestione delle crisi di governo, un premio di maggioranza, la fine del meccanismo dei senatori a vita (con la possibilità che siano solo ex capi di Stato e per un massimo di 5), un nuovo semestre bianco, con il divieto di scioglimento delle Camere.
Sarebbe di fatto un unicum nel panorama internazionale, se consideriamo che l’unico premierato “puro” è stato introdotto da Israele e rafforzato ancor di più con l’operato di Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano. Tutti gli altri sono sistemi simili ma con delle fondamenta differenti. Non resta che capire se il “rischio” di lanciare la patata bollente al cittadino possa arrecare dei benefici. E soprattutto – come annunciato dalla premier – se possa introdurre davvero una Terza Repubblica.