Ieri, 16 gennaio 2020, è sbarcata al porto di Taranto la nave “Sea Watch”, con a bordo 119 persone (tra cui 40 minori) salvate nei giorni scorsi durante tre operazioni nel Mar Mediterraneo. La macchina dell’accoglienza, coordinata da Prefettura e Comune di Taranto, ormai collaudata dopo la gestione di diversi altri sbarchi nello scorso autunno, ha funzionato alla perfezione. Anche questa volta hanno garantito il loro supporto i mediatori e le mediatrici interculturali dell’Associazione “Camera a Sud” impiegati presso le ASL di Taranto, Brindisi e Lecce grazie al progetto FARI.
Avviato nel mese di febbraio 2019, il FARI (acronimo di “Formare, Assistere, Rispondere, Includere”) è un progetto finanziato dal PON “Legalità” 2014-2020 promosso e attivato da ASL Taranto, capofila del progetto, che realizza le attività in partenariato con le omologhe Aziende di Brindisi e Lecce e, appunto, l’associazione “Camera a Sud”. Quest’ultima, in particolare, fornisce e coordina insieme alle ASL i quindici mediatori (che possono operare, complessivamente, in circa 35 lingue) che dallo scorso mese di giugno sono impiegati presso le strutture delle tre Aziende Sanitarie, realizzando in sette mesi circa 5 mila interventi. Si tratta di interventi di mediazione linguistica e interculturale tra utenti stranieri e personale sanitario, di aiuto fornito a persone straniere nell’usufruire dei servizi sanitari e socio-sanitari e non di rado, andando oltre il target previsto dal progetto, anche di aiuto ad italiani che hanno difficoltà di accesso alle cure.
Ieri, a supportare il Servizio 118 nella loro necessaria attività al momento dello sbarco, erano presenti quasi tutti i mediatori del progetto FARI (non solo quelli solitamente impiegati presso ASL Taranto, ma anche quelli attivi presso le altre due Aziende). Per “Oltre il Fatto” abbiamo ascoltato una delle mediatrici che hanno prestato servizio ieri, Fatima Zahra El Mourtadi.
Zahra, qual è il ruolo dei mediatori del progetto FARI durante le operazioni di sbarco, come quello della “Sea Watch” avvenuto ieri?
Questo è il quarto sbarco in cui interveniamo per conto dell’ASL, ormai è una macchina oleata. La nostra attività non interferisce con le attività di riconoscimento di competenza della Questura, che ha i suoi mediatori. Noi siamo fondamentali nell’attività sanitaria, nei primi processi di visita e monitoraggio, in particolare nel momento in cui si riscontrano situazioni di vulnerabilità, come minori che presentano particolari patologie, o mamme con minori che hanno problematiche sanitarie, anche un semplice raffreddore, che è plausibile dopo cinque giorni di navigazione. Quindi, con i sanitari del 118, svolgiamo la prima attività di mediazione. Dopo lo sbarco vengono anzitutto individuate le vulnerabilità. Ieri le vulnerabilità consistevano nelle famiglie: c’erano sette nuclei familiari perlopiù di provenienza libica; poi c’era una donna incinta e una donna con una bambina di pochi mesi di origine nigeriana; infine, diversi minori. Si tutelano prima di tutto queste fasce. Subito dopo lo sbarco avviene il riconoscimento e fotosegnalamento: queste persone vengono fotografate per la prima volta e identificate. Dopodiché vengono avviate le altre procedure nell’hotspot, in struttura protetta. Tutta la fase del riconoscimento, che dura in genere pochi minuti, come è avvenuto ieri, si svolge nell’hotspot, in cui entrano soltanto il personale del Comune e della Questura. Quello dell’hotspot è un passaggio obbligato; successivamente interveniamo noi, nelle procedure relative alla tutela e alla cura. Il nostro lavoro prosegue anche nelle strutture sanitarie: ieri, per esempio, ho seguito una mamma con il suo bambino per tutta la giornata tra l’Ospedale Nord, prima, e il “SS.Annunziata”, poi; altri colleghi hanno seguito al “SS.Annunziata” delle donne incinte.
Avete fatto fronte a situazioni particolari ieri?
Il caso che ho seguito io, cui accennavo, era di una mamma con una bronchite acuta con un figlio di tre anni affetto da un’otite. Si tratta di patologie che appaiono un esito scontato di cinque giorni di navigazione al freddo. I sanitari del 118 e il responsabile della Struttura di Comunicazione dell’ASL Taranto (che è anche il responsabile del progetto FARI) hanno fatto in modo che questa signora potesse avere le cure necessarie in ospedale, in un ambiente protetto, al caldo, perché in hotspot probabilmente non avrebbe potuto avere le cure adeguate. Si è fatto in modo che lei accettasse questa situazione, solo che lei, dopo aver affrontato la guerra e la traversata, non voleva separarsi neanche per una notte dal marito e dall’altra figlia di cinque anni, che stavano in hotspot. Questa situazione è stata un po’ travagliata, e alla fine ha prevalso il sentimento, il non voler dividere dai suoi familiari questa persona, che ha preferito proseguire le cure tornando in hotspot.
Oltre all’attività, di carattere eccezionale, nel corso degli sbarchi, voi da sette mesi svolgete quotidianamente interventi di mediazione nelle strutture dell’ASL, grazie al progetto FARI. Quali miglioramenti ti sembra che abbia apportato questo progetto nelle relazioni tra sanitari e utenti stranieri e nella fruizione dei servizi da parte di questi ultimi?
Ciò che noto di bello e di innovativo è che gli stranieri cominciano a fruire anche dei servizi a cui solitamente non accedono. In genere, quando si parla dell’accesso alla salute da parte degli stranieri, si pensa alle emergenze, che magari richiedono un ricovero, o alla salute della donna. Grazie al progetto FARI, e alla nostra attività quotidiana, si sta stimolando l’accesso degli stranieri a servizi più “sensibili”, come quelli relativi alla salute mentale, o la tutela delle famiglie presso i consultori, o la prevenzione. Stiamo cercando di non occuparci solo dei servizi primari, ma anche di quegli altri servizi che dovrebbero essere universali.
Il progetto FARI sta quindi aiutando gli stranieri presenti sul nostro territorio a ricevere una tutela sanitaria e socio-sanitaria completa.
Uno dei problemi di fondo è che lo straniero, quando viene in Italia, pensa a lavorare e basta, non pensa all’accesso ai servizi a tutto tondo. Le donne straniere, per esempio, soprattutto di alcune particolari culture, il più delle volte arrivano alla prima visita ginecologica solo quando sanno di essere incinte o addirittura solo quando stanno per partorire. Parlare loro anche di prevenzione, per esempio della ricerca del papilloma virus tramite pap test, è una cosa importante. Il fatto che noi stiamo facendo anche questo, con riscontri positivi, è uno dei successi del progetto FARI. Ci rendiamo conto, giorno dopo giorno, anche che siamo utili ai sanitari: noi li agevoliamo a comprendere lo straniero – e la lingua è il primo ostacolo – ma soprattutto a interpretare il malessere della persona, cosa che sarebbe impossibile senza superare anzitutto le barriere linguistiche. Stiamo ricevendo riscontri estremamente positivi dai sanitari.
…che indubbiamente si vedono facilitati nel loro lavoro, e possono concentrarsi maggiormente sugli aspetti più strettamente sanitari. Grazie, Zahra, per la tua disponibilità e anche per tutto quello che fate, e buon lavoro.
Grazie a te.
Giuseppe Pesare
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.