Lo storytelling che guarisce, il raccontare, è un processo di integrazione di eventi che ci hanno travolto e stravolto; fatti personali, della nostra famiglia, della nostra gente, del nostro universo intimo e collettivo, che sembrano segnare la storia cambiandola e ponendola in un nuovo solco.
à la guerre comme à la guerre
La vita è vita e come si dice nella mia città “quand’è Uerre è Uerre pe tutt” (quando è guerra è guerra per tutti). Prima o poi ci accadranno situazioni ed eventi che non ci aspettiamo. La nostra nascita o quella di un figlio non va come previsto. Il cucciolo, cane o gatto di famiglia, scappa e non può essere trovato; un incidente d’auto; a un membro della famiglia viene diagnosticata una malattia; abbiamo una brutta giornata; ci arrabbiamo e gridiamo ai bambini; una pandemia ci chiude in casa e si porta via qualcuno a cui teniamo. Le cose accadono. Solo quando siamo in grado di integrare un evento che appare travolgerci diventiamo capaci di sperimentare ed esprimere i nostri pensieri e sentimenti sull’episodio. Questo ci consente di guarire emotivamente da qualsiasi cosa sia accaduta e di andare avanti profondamente e intimamente connessi con noi stessi e con gli altri. Così una famiglia come paese o un intero pianeta riesce a guarire le proprie ferite e procreare una nuova generazione che colga ciò che è successo al di là del trauma.
Cerchio magico
Raccontarsi le storie sull’accaduto comporta il rallentamento di ciò che è stato, permette di vederlo con occhi e profumi diversi. Naturalmente ne facciamo una versione personale che cambierà man mano che riracconteremo cio che è. Vogliamo tutti essere autenticamente e profondamente ascoltati; quando siamo tristi è salutare essere accolti nel nostro pianto e che qualcuno pianga con noi. Partecipare a un cerchio di storie di guarigione, creare un “cerchio magico”, aiuta a guarire dal trauma e creare e strutturare nuove realtà, nuovi porti d’approdo da cui poter ancora salpare. Nella mia famiglia, abbiamo da poco ripreso il circolo delle narrazioni; il cerchio magico del pranzo e delle cena; essere costretti in casa ci ha portato a raccontarci, inventando storie che raccontano i nostri sentimenti, emozioni e credenze personali o ereditate. Uno di noi inizia, e l’altro continua, in una trama che brilla come uno specchio che riflette ciò che spesso non viene esplicitamente detto. Abbiamo utilizzato la lampada della verità, costruita dal mio primogenito che l’ha trasformato da una lanterna Ikea, con la piccola candela, che si estingue alla fine del racconto. Storie di cui, ora con il tempo della lentezza, prendiamo nota a futura memoria.
Come un gioco
Per raccontarsi, si possono usare le carte da gioco, e farle agire come personaggi della nostra vita, o particolari mazzi pensati proprio per novellare, come le carte di Propp o Fabula o semplicemente i Tarocchi di Jodorowsky con la loro intelligenza nascosta Ogni mezzo è buono, se poi è un gioco, specie per i più piccoli, è anche meglio.
Dai racconti che guariscono può uscire di tutto, ogni cosa è terapeutica anche se può non sembrarlo. Così possono emergere diversi sentimenti e condizioni. La Speranza: c’è un’enorme quantità di speranza che si ricostituisce dalla guarigione anche da eventi molto traumatici, perché non tratterranno più la vita nella sofferenza; il dolore potrà non estinguersi ma la vita sarà libera di costruire e di provare ancora il piacere. L’ onestà: l’essere onesti su e con quello che ci è successo senza trattenere i sentimenti con la logica e la ragione. Sono i nostri sentimenti e meritano di essere riconosciuti, questo comporta assumersi la responsabilità di ciò che proviamo, abbiamo provato e fatto o non fatto. Solo l’onestà verso se stessi, che prima o poi emerge nel cerchio del racconto, restituisce la vera identità e la voglia di vivere ancora pienamente. Il perdono: perdonare gli altri per qualcosa che potrebbero aver fatto o non fatto, per aspettative tradite, ma ancor più perdonare se stessi al di là dei rimpianti. Il sensa di colpa: emerge quando non ci si assume la responsabilità di una decisione presa, la colpa la sostituisce e tormenta per sempre. La responsabilità, a volte dolorosa, permette di cambiare, migliorare la vita vivendola ancora; la colpa è un viatico verso il senso di morte e un’ottima base per non poter cambiare e reiterare ancora, ancora e ancora ciò che non vorremmo non fare. L’ incolpare: spesso nelle storie si trovano i colpevoli, i capri espiatori, gli untori. Senza necessariamente passare dalla pagliuzza e dal tronco evangelici, si può riconoscere che qualcuno potrebbe aver male agito senza incolparlo e provare rancore, riconoscendogli che ha fatto ciò che sapeva e poteva fare, nulla di più nulla di meno. Ci si scrolla così nei racconti del peso nel rancore e del proiettare la causa delle proprie e altrui disgrazie sull’errore dell’altro. Il rancore così espresso, man mano si dissolve, dando spazio alla competenza del fare e del costruire, cessando di oscurare la capacità di godere delle piccole e grandi felicità.
Le storie che ci raccontiamo, devono sempre riguardare fatti e non opinioni, i fatti sono ciò che osserviamo e proviamo, le opinioni sono i ragionamenti, le deduzioni e i meccanismi di elusione della realtà.
Storie che illuminano
Lo storytelling può diventare una parte fondante della vita familiare, si possono condividere storie che illuminano combinando esperienze separate in un insieme significativo che tramandi un’eredità di ricordi da una generazione all’altra. In medicina il personale che lavora con le famiglie colpite dal trauma può utilizzare la narrazione familiare per agevolarne la guarigione. Lo stesse attività ludiche, come quelle teatrali, che si manifestano dopo eventi traumatici collettivi, possono impiegare l’arte dello Storytelling emozionale per liberare dal peso centinaia di persone che potranno ache liberamente abbracciarsi, piangere e sorridere, ascoltando le storie dell’altro che non sono mai dissimili dalle proprie.
Come dice spesso un caro amico e maestro, tutte le storie ci appartengono e tutte man mano ci guariscono, e se autenticamente raccontate, ci profumeranno di nuovo.
Dott. Egidio Francesco Cipriano
Psicologo
foto Pixabay
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